domenica 13 marzo 2011

Mobilità, Socialità, Esternalità


Parafrasando Ivan Illich[1], la realtà è che un eccesso di mobilità degrada le relazioni sociali con la stessa ineluttabilità con cui distrugge l’ambiente fisico.
Ogni spostamento di persone o di merci che si avvale di macchine alimentate da energia ha un costo, produce esternalità negative, entropia, in ultima analisi, rifiuti.
Muoversi “contro natura” realizza un apparente beneficio personale a discapito di altri individui, del territorio, dell’ambiente ed anche dell’estetica.
I nostri centri urbani, le strade, i marciapiedi, le piazze invase da automezzi, devastate da snodi, raccordi e parcheggi ne sono un esempio.
I luoghi che erano della comunicazione sociale sono diventati gradualmente i luoghi del transito e l’anticamera della discarica, non solo dei mezzi, ma anche delle persone.
I mezzi moderni, e la cultura di cui sono testimoni, hanno introdotto nuove regole ed imposto nuove abilità che limitano l’accesso e la partecipazione sociale a significative fasce di popolazione contribuendo alla loro marginalizzazione. Gli anziani, i bambini, i diversamente abili sono gli esclusi. Riportarli nelle strade sarebbe un atto di cittadinanza attiva e di democrazia, un antidoto alla deriva della velocità a tutti i costi.
Chi comunque, per scelta o perché costretto, vive i luoghi del traffico, subisce la quotidiana umiliazione della sottrazione di tempo, della socialità perduta, dell’aria inquinata e del rumore.
Il traffico è chiassoso e anestetizza la nostra sensibilità riducendo la capacità di percepire il resto della vita attorno a noi.
Siamo diventati, spesso senza averlo scelto, consumatori di mobilità, consumatori di merci piene di chilometri.
Rincorriamo luoghi e immagini “lontane” alla ricerca di noi stessi.
Abbiamo alterato lo spazio per far fronte alla penuria di tempo.
Senza trovare una vera risposta ai nostri bisogni.
Probabilmente al punto in cui ci troviamo, per liberarci dall’opulenza ma anche dalla carenza, dobbiamo aprire un cantiere permanente per la ristrutturazione sociale dello spazio che faccia continuamente sentire a ognuno di noi che il centro del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive.


[1] Ivan Illich, Elogio della bicicletta, Bollati Boringhieri editore, 2006

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