Imprese di Transizione
Questo spazio digitale vuole favorire l'incontro tra tutti coloro che possono attivarsi per proporre e sperimentare riflessioni e pratiche "aziendali" compatibili con un mondo rispettoso dell'uomo e di ogni forma di vita sulla terra. Nasce da una amicizia tra due imprenditori Vito e Piero e dalla comune Utopia di anteporre le questioni dell'Uomo a quelle dell'economia.
mercoledì 20 giugno 2012
La crescita si nutre delle contrddizioni del sistema
La crescita si nutre delle contraddizioni del sistema. L'inquinamento, gli ingorghi, il tabagismo, l'alcolismo, il gioco d'azzardo favoriscono la crescita.
domenica 13 novembre 2011
Fare tabula rasa ...
Fare tabula rasa e costruire ex novo: è questo che c'è nell'aria e che avvolge il moderno. Un'ansia e un'aspirazione, un'ossessione e un'illusione, un sogno ed un incubo
mercoledì 1 giugno 2011
Sostenibile, ovvero duraturo ...
(tratto da L'Aleph di Jorge Luis Borges)... non voleva più cose particolari; voleva solo durare, non finire. Il sapore della bevanda, il gusto del tabacco, la crescente linea d'ombra che guadagnava il cortile, erano stimoli sufficienti.
domenica 13 marzo 2011
Mobilità, Socialità, Esternalità
Parafrasando Ivan Illich[1], la realtà è che un eccesso di mobilità degrada le relazioni sociali con la stessa ineluttabilità con cui distrugge l’ambiente fisico.
Ogni spostamento di persone o di merci che si avvale di macchine alimentate da energia ha un costo, produce esternalità negative, entropia, in ultima analisi, rifiuti.
Muoversi “contro natura” realizza un apparente beneficio personale a discapito di altri individui, del territorio, dell’ambiente ed anche dell’estetica.
I nostri centri urbani, le strade, i marciapiedi, le piazze invase da automezzi, devastate da snodi, raccordi e parcheggi ne sono un esempio.
I luoghi che erano della comunicazione sociale sono diventati gradualmente i luoghi del transito e l’anticamera della discarica, non solo dei mezzi, ma anche delle persone.
I mezzi moderni, e la cultura di cui sono testimoni, hanno introdotto nuove regole ed imposto nuove abilità che limitano l’accesso e la partecipazione sociale a significative fasce di popolazione contribuendo alla loro marginalizzazione. Gli anziani, i bambini, i diversamente abili sono gli esclusi. Riportarli nelle strade sarebbe un atto di cittadinanza attiva e di democrazia, un antidoto alla deriva della velocità a tutti i costi.
Chi comunque, per scelta o perché costretto, vive i luoghi del traffico, subisce la quotidiana umiliazione della sottrazione di tempo, della socialità perduta, dell’aria inquinata e del rumore.
Il traffico è chiassoso e anestetizza la nostra sensibilità riducendo la capacità di percepire il resto della vita attorno a noi.
Siamo diventati, spesso senza averlo scelto, consumatori di mobilità, consumatori di merci piene di chilometri.
Rincorriamo luoghi e immagini “lontane” alla ricerca di noi stessi.
Abbiamo alterato lo spazio per far fronte alla penuria di tempo.
Senza trovare una vera risposta ai nostri bisogni.
Probabilmente al punto in cui ci troviamo, per liberarci dall’opulenza ma anche dalla carenza, dobbiamo aprire un cantiere permanente per la ristrutturazione sociale dello spazio che faccia continuamente sentire a ognuno di noi che il centro del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive.
sabato 5 marzo 2011
L'arca di Noè
“Noé era stanco di fare il profeta di sventura e di annunciare incessantemente una catastrofe che non arrivava e che nessuno prendeva sul serio. Un giorno, si vestì di un vecchio sacco e si sparse della cenere sul capo. Questo gesto era consentito solo a chi piangeva il proprio figlio diletto o la sposa. Vestito dell’abito della verità, attore del dolore, ritornò in città, deciso a volgere a proprio vantaggio la curiosità, la cattiveria e la superstizione degli abitanti. Ben presto ebbe radunato attorno a sé una piccola folla curiosa e le domande cominciarono ad affiorare. Gli venne chiesto se qualcuno era morto e chi era il morto. Noé rispose che erano morti in molti e, con gran divertimento di quanti lo ascoltavano, che quei morti erano loro. Quando gli fu chiesto quando si era verificata la catastrofe, egli rispose: domani. Approfittando quindi dell’attenzione e dello sgomento, Noé si erse in tutta la sua altezza e prese a parlare: dopodomani il diluvio sarà una cosa che sarà stata. E quando il diluvio sarà stato, non sarà mai esistito. Quando il diluvio avrà trascinato via tutto ciò che c’è, tutto ciò che sarà stato, sarà troppo tardi per ricordarsene, perché non ci sarà più nessuno. Allora, non ci saranno più differenze tra i morti e coloro che li piangono. Se sono venuto davanti a voi, è per invertire i tempi, è per piangere oggi i morti di domani. Dopodomani sarà troppo tardi. Dopo di che se ne tornò a casa, si sbarazzò del suo abito, della cenere che gli ricopriva il capo, e andò nel suo laboratorio. A sera, un carpentiere bussò alla sua porta e gli disse: lascia che ti aiuti a costruire l’Arca, perché quello che hai detto diventi falso. Più tardi, un copritetto si aggiunse ai due dicendo: piove sulle montagne, lasciate che vi aiuti, perché quello che hai detto diventi falso” (Citato da Jean-Pierre Dupuy, Piccola metafisica degli tsunami. Male e responsabilità nelle catastrofi del nostro tempo, Donzelli, Roma 2006, pp. 8-9).
Cosa possiamo allora fare Noi, in attesa che prenda forma una sorta di “responsabilità organizzata”, per evitare la deriva, per evitare che il nostro pianeta ci espella e si liberi di noi?
Come dice Serge Latouche dovremmo cominciare a “decolonizzare il nostro immaginario” mettendo in discussione il modello economico e sociale in cui viviamo. Dobbiamo combattere l’idea che ci induce a considerare il mondo e la nostra vita come un gigantesco centro commerciale, senza pareti, senza limiti, senza frontiere e senza altro scopo all’infuori del consumo. Dobbiamo anteporre in ogni nostra scelta le questioni della vita a quelle dell’economia. Dobbiamo perseguire nella ricerca di una felicità ad personam, diversa per ognuno di noi, che rifugga dai modelli e dagli stereotipi dominanti. Non può accadere nulla di rilevante se non nella differenza. Possiamo essere parte attiva di un movimento diffuso di “consumatori difettosi” che come tanti granelli di sabbia rallentino questa corsa senza futuro. Ogni nostro gesto può essere ripensato e reinterpretato alla luce di una visione del mondo più equa e responsabile. Basta chiedersi da dove arriva il cibo, l’energia e tutte le cose che riempiono la nostra giornata; e dove vanno a finire i nostri rifiuti, i nostri vecchi computer, televisori, elettrodomestici, automobili e così via. Recuperare il senso del limite. Una presa di coscienza tra il limite che separa la “libertà dal bisogno” dall’arroganza ci consente a pieno titolo di salire sull’Arca.
sabato 12 febbraio 2011
fare qualcosa che dura
"… mettersi a scavare un abbeveratoio di pietra con l’idea di fare qualcosa che dura diecimila anni … aveva una sorta di promessa nel cuore … mi piacerebbe di essere capace di fare quel tipo di promessa."
(Tratto da "I barbari" - Baricco)
venerdì 14 gennaio 2011
Iscriviti a:
Commenti (Atom)

